Da Carate verso Agliate, Costa Lambro e Realdino

Il percorso inizia dal piazzale del Cimitero cittadino situato sulla via per Agliate, poco oltre l’Oratorio della Madonna di san Bernardo, dove esiste un ampio parcheggio.

La visita può iniziare dallo stesso cimitero oppure potrà essere rimandata per una visita esclusiva e più approfondita.

Per la visita al cimitero è consigliabile seguire questo approfondimento

Cimitero Di Carate Brianza
Una rapida visita può farci conoscere importanti aspetti storici e artistici non solamente locali.

– Uscire dal cimitero e seguire il vialetto in discesa, a fianco della cinta muraria (a sinistra uscendo) e portarsi sulla pedonale per scendere verso Agliate sino a raggiungere il

02) Ponte di Agliate

Sin dall’antichità Agliate rappresentava uno dei pochi passaggi obbligati del fiume Lambro. Negli “Atti di visita” del card. Federico Borromeo del 1608 è scritto che Agliate era la porta della Brianza (et dicitur initium Montis Briantiae). E’ nota la presenza di un ponte sin dall’antichità.

Nella pianta cinquecentesca della Pieve di Agliate, risalente alle visite pastorali di San Carlo Borromeo, il ponte è raffigurato sorretto da archi. Questo ponte collassò nel 1921 e nello stesso anno fu interamente ricostruito.

Attorno a questo si concentrarono alberghi e trattorie, per secoli attrazione gastronomica e turistica.

Il ponte è sempre stato uno dei luoghi identitari di Agliate. Segnava piccoli e grandi eventi del paese: Il Lambrone (piene del fiume con possibilità di allagamenti delle zone molinare), le processioni, il lavoro, gli svaghi, la “novità” con l’arrivo di viandanti visitatori.

E’ ancora una “balconata” attraverso cui i passanti, per motivi ancestrali o per semplice curiosità, entrano in contatto con l’acqua e con gli altri elementi fluviali.

Da molti anni, con il velocizzarsi dei ritmi di vita, il ponte è diventato solo un “passaggio”, tuttavia è in atto il tentativo di far rinascere un nuovo rapporto tra uomo e natura per un immaginario ambientale positivo, attraverso manifestazioni come la Befana sul Lambro o altre iniziative di educazione e animazione ambientale.

Dal ponte si possono leggere le vestigia sintoniche del passato (lambretti o canali molinari, alzate per i mulini, case ardite sulle rive, lavatoi ed edifici industriali) tanto da poter definire il fiume “Lambro Opera d’Arte” (Carlo Annoni).

Purtroppo, è altrettanto possibile osservare i pesanti e recenti interventi di sistemazione delle rive che hanno quasi trasformato il Lambro in un canale.

 

– Superato il ponte, a sinistra, sulla parete di un’abitazione

Potrete vedere rappresentata una riproduzione della mappa cinquecentesca della Pieve di Agliate. 

La Pieve di Agliate
Approfondimento sulla Pieve di Agliate

 

– Di seguito, a destra attraverso un sottopasso, si entra in una zona una volta ricca di molini e di oleifici mossi dalle acque del Lambro.

03) Borgo S.Dazio e Molini

Il borgo era noto come Bourg di occh poi, agli inizi del Novecento, denominato Borgo san Dazio: un santo che la leggenda vorrebbe agliatese, della famiglia degli Agliati o Alliati.

Esisteva una concentrazione di molini che traevano farine da granaglie, mais, grano, orzo e segale. Di frantoi con grandi ruote di ceppo o di granito, e presse a vite o idrauliche che producevano olio. Di tutto questo e delle chiuse, delle levate o traverse, dei canali molinari, delle ruote non resta alcuna traccia tracce. Immortalate da artisti ne resta solo il ricordo.

-Tornate in via Cavour attraverso la via Ronchi e vi troverete davanti al sagrato della Basilica,

04) Cimitero di Agliate Potreste fare una rapida visita anche a questo cimiterino percorrendo il viale delle Rimembranze, la via che si apre a sinistra della basilica. In un giardinetto davanti all’ingresso troverete una piccola colonna stazionaria sormontata da una croce. Era posizionata, come da tradizione, al crocevia delle strade per Briosco e per Costa, dove ora c’è il monumento ai Caduti.

All’interno, sul muro – a destra entrando – restano alcune vecchie lapidi tra cui quella del parroco Pietro Francesco Curioni che nel 1741 edificò a sue spese la sacrestia della basilica, munendola di un grande armadio in noce.

Alcuni monumenti funebri sono arricchiti da opere dello scultore caratese Santo Caslini. Stupefacente è un grande bronzo dei danteschi “Paolo e Francesca” uniti nel loro abbraccio eterno. Notevoli anche alcune altre sculture come il bianco bassorilievo con “Cristo e la resurrezione di Lazzaro”.

– Tornati sul sagrato è possibile visitare il

05) Complesso plebano dei SS.Pietro e Paolo

– All’ingresso della basilica potrete trovare una brochure che vi guiderà passo passo nella visita di questo monumento.

Prima di addentrarci nella scoperta della basilica di Agliate è opportuno sapere che la località sorge su un importante punto di passaggio sul fiume Lambro, dove confluivano antichi percorsi di crinale che univano l’alta Brianza con la pianura.

Il luogo fu sicuramente in epoche remote un centro di incontro, di riunione, di commerci, di controllo del territorio con funzioni amministrative. Certamente vi fu un insediamento romano, con caratteristiche amministrative e cultuali, di cui cercheremo qualche testimonianza durante la visita.

“L’antichità di Agliate presuppone un periodo arcaico, quello per cui la località fu tanto importante da dare origine ad una pieve ossia alla tramutazione cristiana di una rilevante dignità civile – conciliabulum e pagus – assurta da fase arcaica alla romanità.” (Davide Pace).

Disgregatosi l’impero romano, con l’arrivo dei goti e dei longobardi, l’ordinamento dei pagi andò rapidamente a sparire facendo aumentare l’importanza della pieve cristiana.

La più antica iscrizione paleocristiana documentata ad Agliate è databile al V sec. 

Zeses/‹H›yperec‹h›i/ze˹s˺es/dedic(atum)/(ante diem)VII idus/ Iunias /d(epositus) in pace/ q(uiescit)

L’indizio ci è dato dall’epigrafe funeraria cristiana rinvenuta durante la demolizione del campaniletto secentesco, illustrata da mons. Pompeo Corbella nel suo “Memorie di Agliate e della sua antichissima basilica” del 1895, recante una rara iscrizione greco-latina, purtroppo oggi non più rintracciabile, ma certamente esistente.

La Pieve di Agliate comprendeva 23 chiese, cioè future parrocchie, che andavano da nord a sud, da Veduggio a Sovico e Canonica.  Nell’antichità tutti gli abitanti di queste località per ricevere il battesimo dovevano confluire ad Agliate, dove esisteva l’unico battistero della Pieve dedicato a san Giovanni Battista. 

Per maggiori informazioni consultare l’approfondimento dedicato alla Pieve. 

La facciata della Basilica.

Dal sagrato della basilica possiamo ammirare la semplice facciata che evidenzia la forma costruttiva a tre navate. Al centro, il portale quasi completamente rifatto durante i restauri ottocenteschi. Solo i due stipiti decorati a intrecci viminei sono originali e potrebbero risalire al IX secolo, probabilmente pertinenti alla chiesa precedente l’attuale.

Alla base della facciata sono inserite delle grandi pietre, una di queste è una stele romana che lascia intravedere una decorazione a festoni e tracce della dedica.

All’interno

Entriamo dalla porta laterale destra e subito troviamo fissate alla parete alcune lapidi. La più notevole è quella funeraria dei giovani coniugi Sextilii dedicata agli Dei Mani risalente alla fine del II sec.d.C. Quella a fianco, anch’essa romana, un poco più tarda, è stata rinvenuta nel 1990 durante lo scavo archeologico che ha riportato alla luce murature pertinenti alla chiesa precedente, ma non la prima.

Di questo edificio si vedono tracce (la maggior parte è stata reinterrata) a fianco della prima colonna che poggia su un’ara romana dedicata da Vitale a Giove Ottimo Massimo Conservatore. Vitale era di condizione servile e dedicò l’ara per la salute dei suoi padroni, sua e dei suoi.

Ai lati della fondazione ci sono tracce di tombe pertinenti alla precedente chiesa.

Un’altra lapide funeraria fissata alla parete è quella paleocristiana del lettore Albino.

Possiamo ora osservare che non una colonna, né un basamento o un capitello sono uguali uno all’altro. Tutti gli elementi architettonici sono materiali di spoglia di edifici antichi.

La seconda colonna della navata sinistra è un miliario romano indicante il 2° miglio, forse da Como. Sopra sono incise alcune dediche: quella frontale dell’imperatore Giuliano (l’Apostata) fu probabilmente posta nel 361 d.C..  Il miliario fu rovesciato più volte e nuovamente inciso. L’ultima dedica è per gli imperatori Magno Massimo e Flavio Vittore, del 387-388 d.C.

Proseguendo notiamo che la base di una colonna fu ricavata ritagliando un’ara romana di marmo bianco, utilizzando poi l’altra parte quale capitello di una colonna della opposta navata. La stessa colonna proviene da un edificio romano, essendo fatta di granito rosso proveniente dall’Egitto. Poco più avanti, su un’altra colonna poggia un bellissimo capitello romano con delfini che bevono da un kantharos, dal quale emerge un tridente.

Il simbolismo

Se contiamo tutte le finestre della basilica ci accorgiamo che sono trentatré, esattamente quanti gli anni di vita terrena di Gesù Cristo. Il simbolismo dei numeri prosegue. Tre sono le navate, simbolo della Trinità, come sono sei le colonne, quante i giorni della Creazione e sette gli archi (il settimo giorno è il riposo).

La balaustra del presbiterio, la scalinata e l’ambone sono tutti elementi ricostruiti durante i restauri dell’ultimo decennio dell’800.

Documenti antichi esistenti in Archivio Parrocchiale ci informano comunque che l’ambone, cioè la tribuna delle letture o pulpito, sino al ‘600 era in marmo e aveva il leggìo ornato con l’aquila, simbolo dell’Evangelista Giovanni. Purtroppo fu distrutto in quegli anni per far posto a pulpito di legno.

Sulla parete laterale troviamo l’affresco della beata Vergine delle Grazie: una Madonna in trono col Bambino in braccio, molto venerata. E’ un’opera trecentesca di buona fattura, proveniente dalla distrutta chiesa della Madonna Pura del convento dei cappuccini di Verano. E’ la Madonna della Candelora che si ricorda il 2 febbraio. La Madonna indossa infatti un caldo mantello foderato di pelliccia.

Per scendere nella cripta passiamo davanti all’altare del Crocifisso e alle reliquie di san Biagio. Le reliquie furono rinvenute da san Carlo nell’altare della navata di destra, ora altare del Santissimo e riconosciute da un’iscrizione sulla tomba. Ovviamente quale Biagio sia non si saprà mai.

La dedicazione dell’altare a san Biagio era riportata anche sul Liber Notitiae Sanctorum Mediolani risalente alla fine del ‘200.

Cripta.

La cripta è una chiesa nella chiesa, dedicata a sant’Andrea, fratello di Pietro, i due pescatori di uomini. Era la chiesa “iemale”, cioè invernale, utilizzata nelle funzioni giornaliere quando il freddo era pungente. Era anche la chiesa canonicale dove si riunivano i canonici, proibita alle donne che potevano assistere alle funzioni attraverso le due bifore poste ai lati dello scalone che porta al presbiterio.

Le volte a crociera sono sorrette da otto colonnine in pietra con capitelli. Uno di questi capitelli è in marmo bianco ed è una rara opera d’epoca carolingia (IX-X sec.) che fu definita di “barbara bellezza”.

Gli affreschi antichi

Risaliamo dalla scala opposta a quella della discesa e rientriamo nella navata di destra fermandoci sotto il primo arco. Questo è il punto da cui possiamo ammirare ciò che resta del ciclo degli affreschi che un tempo, probabilmente già dalla costruzione della basilica, ricoprivano tutte le pareti. I cicli pittorici si sviluppavano su più fasce orizzontali.

Nella più alta, tra le mensole delle capriate, sono dipinti i volti del profeti.

Nel registro centrale, il più importante, si alternavano i riquadri illustrati con le scene del Vecchio Testamento. Ci restano solamente quelle tratte dalla Genesi raffiguranti la “Creazione di Adamo” e la “Creazione di Eva“. Le scene si svolgono nel Paradiso Terrestre raffigurato come una rassicurante città con palazzi, torri, mura e porte fortificate.

Dio Padre, raffigurato come Cristo, infonde la vita nella sagoma ancora grezza del primo uomo.

Nella seconda scena, Adamo giace addormentato, con il braccio sinistro sollevato scopre il costato da cui Dio Padre estrae Eva, la prima donna.

La datazione di questi affreschi oscilla tra gli ultimi decenni del X secolo agli inizi dell’XI;  considerando che furono dipinti immediatamente dopo la costruzione essi permettono la datazione anche dell’edificio romanico.

Nel registro inferiore sono illustrate scene del Nuovo Testamento con la Vergine che riceve l’Annuncio dell’Angelo. Le rimanenti tracce di pitture lasciano solo supporre la scena della Visitazione con l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta. La perdita dell’intero ciclo di affreschi potrebbe essere stata provocata da un disastroso incendio.

Il Presbiterio  

Portandoci ai piedi dello scalone possiamo ammirare la decorazione della volta con l’antica immagine di Cristo Giudice, che regge nella sinistra il volume aperto, e con la mano destra aperta, non benedicente ma sollevata per amministrare la giustizia.

Il Pantocratore (l’Onnipotente o Sovrano di tutte le cose) è inserito in una cornice circolare attorniato dai simboli dei quattro Evangelisti.

Questa decorazione è coeva a quella della Genesi, ma opera di un diverso Maestro.

Nell’abside restano gli affreschi cinquecenteschi raffiguranti Dio Padre con Globo crucigero in un tondo, e ai lati, Gesù che consegna a Pietro le chiavi; a destra, la Madonna col Bambino e san Giovanni Battista.

Sulla parete destra del presbiterio, un recente restauro ha riportato alla luce un pregevole affresco tardo quattrocentesco raffigurante una Madonna del Latte assisa in trono, con Gesù Bambino sulle ginocchia che si nutre al suo seno.

La sacrestia

La visita volge al termine ma se riusciamo ad entrare in sacrestia potremo ammirare un ricco armadio guardaroba contenente le vecchie e ricche vesti liturgiche, costruito e donato nel 1741 dal Prevosto Pietro Francesco Curioni.

In sacrestia è poi conservato l’armadio dell’Archivio Plebano, l’ultimo ricordo di quando Agliate era capo Pieve. Le ante nascondono 24 cassetti, uno per ogni parrocchia che in antico erano sottoposte ad Agliate.

Raramente, e in particolari occasioni, si potrà poi ammirare un vero tesoro costituito dalle capselle delle reliquie rinvenute da san Carlo durante la visita pastorale del 26 agosto 1578. Erano celate nel piccolo altare della chiesa di san Giovanni Battista, cioè nel Battistero. Sono due contenitori, quello esterno in pietra tenera e quello interno in argento traforato. Un recente studio del prof. Ermanno Arslan, ha individuato l’origine bizantina del reliquiario che, per forma e simbologia, ripropone il Santo Sepolcro di Gerusalemme. La provenienza dell’oggetto è certamente dalla Terra Santa ed è databile tra la fine del VI e gli inizi del VII sec.d.C.

Usciti dalla basilica ci avviamo per entrare nel Battistero, passando accanto al campanile che è opera recente della fine del XIX secolo.  Ai suoi piedi troviamo però una lapide tardo romana con iscrizione abrasa, fu rinvenuta durante gli scavi archeologici del 1990. Era stata reimpiegata, come altri reperti d’epoca romana, per la costruzione di una tomba all’interno della primitiva chiesa. 

Il Battistero

La presenza del Battistero certifica l’antichità e l’importanza del complesso battesimale di Agliate.

L’edificio è isolato ed ha l’abside rivolta a est, con un orientamento leggermente diverso da quello della basilica.  Questa diversità è probabilmente dovuta a differenti epoche di costruzione dei due edifici.

All’interno la pianta del battistero è praticamente ottagona, come la vasca battesimale ad immersione, anche se, per far posto all’abside, il lato più lungo, rivolto a oriente, è leggermente angolato tanto da evidenziare, all’esterno, la presenza di nove lati.

La tecnica muraria è come quella della basilica, tutta in ciottoli legati con malta e con l’inserimento a scopo decorativo di travertino locale, che dona risalto alle monofore e agli archetti pensili.

La forma ottagona del battistero e della vasca battesimale è quella voluta da sant’Ambrogio. Il tipo di vasca ad immersione con acqua corrente, alimentata da un sistema di canali, di cui si vedono ancora le bocche di entrata e di uscita, destinata al battesimo degli adulti, testimonia l’antichità dell’impianto. Il pavimento in coccio pesto, fortemente inclinato verso un lato del battistero, dove è aperto un foro di scarico, evitava il ristagno dell’acqua grondante dai neobattezzati uscenti dalla vasca.

La decorazione pittorica più antica interessa la sola zona absidale: la fascia superiore reca la scena della “Chiamata dei primi discepoli” con Pietro e Andrea raffigurati mentre stanno ritirando la rete gonfia di pesci. È la pesca miracolosa. Gesù disse loro «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». La scena è strettamente coerente al luogo.

Questa fascia sovrastava l’ormai scomparso “Battesimo di Gesù nel Giordano”. Ai lati ci restano solo gli Angeli che accorrono per assistere al Battesimo.

Allo stesso periodo antico, primissimi anni dell’ XI sec. risalgono anche le figure dei santi ai lati.  Di quel periodo restano tracce di decorazione anche nell’abside dove un santo guerriero coperto con cotta di maglia in ferro, armato di lancia e scudo, è raffigurato entro un’arcatella.

Nel santo si potrebbe riconoscere san Vittore.

La devozione a questo santo ci porterebbe ai primissimi anni del Mille, all’epoca dell’arcivescovo Arnolfo II (998-1018).

Al trecento risalgono gli affreschi del catino absidale, con tracce del Pantocratore in mandorla e i simboli degli Evangelisti, i resti dei due Apostoli Andrea e Giacomo e, sopra, una delicata Madonna del Latte.

Ai primi del trecento, tra il secondo e il terzo decennio, risale l’affresco che troviamo a destra dell’ingresso, la “Deposizione nel sepolcro”. E’un’opera di ottima qualità ritenuta di mano di un artista seguace della corrente del giottismo lombardo.

Al quattrocento si datano i tre affreschi raffiguranti sant’Onofrio, un santo vescovo e la Madonna in trono. I primi due sono dipinti devozionali probabilmente da riferire ad una committenza legata alle attività tessili che si svolgevano lungo il Lambro: all’ombra, forse, degli Umiliati.  Sant’Onofrio, a causa del suo “abito” di peli è considerato protettore dei tessitori mentre il vescovo, riconosciuto in san Biagio (del quale in basilica si conservano le reliquie) è il protettore dei cardatori di lana, oppure l’immagine è stata recentemente attribuita a san Gottardo, al quale era intitolata la caratese chiesa di Santa Maria della Purificazione del Convento degli Umiliati.

La Madonna in trono è una copia della “Madre di Dio della Tenerezza”, un’icona bizantina molto venerata e diffusa anche in Lombardia.

I recenti restauri che hanno poi riportato alla luce le labili tracce di altri affreschi, una madonna col bambino in braccio e un Santo dottore, forse san Damiano.

Non va dimenticato un piccolo monumento romano, testimone della romanità del luogo, trovato durante la demolizione del vecchio campanile e utilizzato come dispersore di acqua benedetta (non come acquasantiera!). E’un’ara che Lucio Valerio dedicò al dio Silvano. Un dio dei boschi, ben congeniale alla natura della nostra valle.

Le recenti opere di restauro hanno anche evidenziato antiche strutture murarie, probabilmente romane o tardo romane, chi sottostanno anche sotto le fondamenta del Battistero.

– dal Parco alle spalle del Battistero accedere tramite la scala al piazzale del monumento ai Caduti e dopo breve discesa visitare:

06) “L’era de la sciura AmeliaE’ rimasta l’unica aia pavimentata del paese. Era di proprietà della famiglia Corbetta, oliai e molinari, e utilizzata per l’essicamento di semi da olio e granoturco. Veniva poi concessa anche ad altri agliatesi.

– proseguire a sinistra seguendo il muro di cinta di un parco e poi lungo tutta la valletta sino al fondo e risalire da una scalinata per trovarsi di fronte a:

07) Rovella e villa ex Confalonieri-Verri poi Albertoni ed ora casa di Riposo

Antico nucleo abitato di Agliate, di cui si ricorda negli annali delle visite pastorali la presenza della chiesa di sant’Eustorgio. Il proprietario, conte Giuseppe dell’antica famiglia dei Confalonieri di Agliate e la moglie Luigia Verri, figlia di Pietro, il famoso economista e letterato, incaricarono l’architetto Giacomo Moraglia di costruire la loro villa padronale in stile neoclassico a cui vollero affiancarono una cappella gentilizia.

L’architetto Giacomo Moraglia “seppe conciliare eleganza e magnificenza nella casa che la contessa Luigia Verri, figlia dello storico Pietro Verri (e moglie di Giuseppe Confalonieri), volle innalzare (1825-1827) sulla Rovella d’Agliate, ove è principalmente a vedersi l’oratorio di pianta tetrastila, nel quale troverai anche un San Giuseppe, pregievolissimo fresco del pittore cremonese Diotti” – da Ignazio Cantù in “Vicende della Brianza”, 1836.

La villa “la Rovella” è oggi di proprietà di un istituto religioso che l’ha trasformata in casa di riposo, affiancandogli poi nell’annesso parco un nuovo moderno padiglione.

– Ritornare nella valletta del Parco riscendendo dalla scalinata

08) Fonte di sant’Eustorgio

Sorgente in grotticella con piccolo invaso, riparata da una malandata porticina. L’antico culto delle sorgenti riteneva che l’acqua raccolta nella notte di Natale fosse salvifica, almeno per gli animali domestici.  Il doppio lavatoio utilizzato dagli abitanti della Rovella è scomparso.

Proseguire lungo un largo sentiero in salita e appena dopo una stazione del vecchio percorso vita prendere un altro sentiero che prosegue in salita sino a incrociare la scalinata che vi porterà sulla via Montello.

-Attraversata la strada, sul pendio a sinistra c’è una lunga scalinata che fiancheggia il muro di cinta della Villa Stanga Busca. Sulla sommità è posto un miliario con varie indicazioni. Siete sulla strada che da Costa Lambro conduce agli ingressi delle proprietà Cascina Boffalora – Negri da Oleggio e al

09) Giardino all’italiana di Villa Stanga

Siamo di fronte alla cancellata sul retro dell’importante Villa Stanga, con una facciata di aspetto non meno rilevante della principale. Nel vasto parco che si estende a nord, in massima parte tenuto a prato con alberature di bordo, assume particolare rilievo il giardino all’italiana, disegnato nelle elaborate forme di aiuole, con statue e carpinate a galleria, impostato su un asse passante dall’ingresso alla villa alla cancellata nel parco, oltre la quale si allunga un rettifilo alberato verso il vertice nord-est della proprietà.

Giunti a un giardinetto pubblico girare a destra sino a via Stanga Busca. Poi a destra sino alla piazzetta davanti alla

10) Chiesa di san Martino, di origine castellana, già citata come in castro de Alliate nel “Liber” di Goffredo da Bussero (XIII sec.). La chiesa è dedicata a un Santo cui fanno riferimento i Confalonieri di Agliate che per molti secoli ebbero proprietà castellane in loco.

Certamente documentata dal XV secolo, fu interamente ricostruita a metà dell’Ottocento, mentre nel 1901 fu aggiunto un nuovo campanile.

Sul portale l’affresco di San Martino che divide il mantello con il povero.

– A lato, l’ingresso di

11) Villa Stanga, di cui abbiamo visto il giardino all’italiana. Non v’è certezza sull’edificazione della villa ma il sito era già edificato nel 1721  e censito al tempo della grandiosa indagine sullo stato del territorio del Ducato di Milano, promossa sotto il dominio austriaco dall’imperatore Carlo VI ed entrata a regime più tardi col Catasto Teresiano, reggente Maria Teresa.
L’impianto a corpo rettangolare della villa la riconduce all’epoca neoclassica, quando fu interessata da un intervento che modificò l’originaria struttura. Il prospetto rivolto a sud è quello principale, elevato su due piani, è ordinato simmetricamente in tre parti da ampie lesene. Al piede si apre un portico a tre fornici ad arco, quello centrale più ampio, sovrastato dal maggiore dei tre balconi del piano nobile. Le finestre presentano cornici neobarocche a fasce intonacate in leggera sporgenza e coronate da un cartiglio in chiave al piano terreno e da elaborate cimase con puttini al piano nobile.
Identicamente lo schema è ripetuto sulle testate e sulla facciata a nord, questa con la variante della limitata porzione ad est, di fatto estranea all’ordine simmetrico prevalente e per questo priva delle elaborate mostre alle finestre, rimaste forse allo stato originario.
Negli ambienti interni rimangono testimonianze del passato splendore soprattutto al piano nobile, peraltro recentemente modificato e posto in vendita come unità immobiliare, con settecenteschi soffitti e dipinti che riproducono paesaggi incorniciati da modanature.
L’attuale aspetto esterno neorococò si deve agli interventi voluti verso il 1850 dal marchese Ferdinando Stanga Trecchi ed è caratterizzato dalle cornici arrotondate delle finestre che hanno la cimasa a ricciolo coronata da teste di puttini, dagli elaborati balconi in ferro battuto.

– Attraversando la strada la vista si apre sul panorama della Valle del Lambro,

A destra, un’edicola a forma di grotticella, realizzata in ceppo, ospitava una fontana alimentata dall’acquedotto voluto dal marchese Ferdinando Stanga.

A lato alcuni gradini scendono verso un sentiero che, tenendo la destra, ci riporta verso il fondovalle verso la Conca di Agliate. 

La Conca di Agliate
Approfondimento sulla Conca di Agliate

12) Grotta del Presepe e al Lavatoio

La grotta, che si apre nella parete della valle in uno scenario boschivo e di fronte a un’ampia spianata verde, è il luogo ideale dove si svolge ogni anno il Presepe Vivente. Il luogo è suggestivo e ci lascia immaginare antiche presenze legate al culto delle acque e dei boschi. Racconti, anche recenti, ci narrano di un possibile antico tempietto che sorgeva su quella riva.
Al piede della grotta sgorgano acque freschissime che alimentano un grande lavatoio pubblico, contornato da larghe pietre inclinate.

13) Discesa lungo il Lambro:

Il sentiero che conduce al fiume attraversa e costeggia una zona umida, con uno stagno con ninfee. Giunti sulla sponda sinistra, il fiume piega ad angolo retto verso valle.  Sulla sponda opposta, poco più a monte, si vedono i resti della filanda della Porenzella che cela ancora tracce cospicue di archeologia industriale come: chiuse meccaniche di derivazione delle acque, turbine meccaniche e ingranaggi di azionamento degli alberi di trasmissione. 

Esisteva sino agli anni ’60 un ponte di ferro che era al servizio di quanti si recavano al lavoro negli opifici o anche perché era un più comodo e veloce percorso per chi era diretto a Carate.

Il Lambro, dove piega ad angolo retto, creava gorghi pericolosi ed era anche molto profondo. Il nome del tratto era Gorgòne.

Il fiume nel corso dei millenni ha scavato la parete della valle creando molte grotte e anfratti entro il ceppo (o puddinga), una formazione di natura alluvionale formata da ciottoli e sabbia cementati. La presenza di grotticelle ha alimentato la leggenda del Bus de la càvera dòra in cui si celerebbe un tesoro mai trovato.

Proseguendo lungo il sentiero che per il primo tratto sale leggermente, si incontra una via pedonale selciata che da Costa scende verso Realdino. La via, realizzata dai marchesi Crivelli, un tempo feudatari di Costa e di altre vaste località briantee, è segnalata da una stele con iscrizione “Pedone Crivelli”.

14) Realdino

L’arrivo alla frazione di Realdino è segnalato dalla presenza degli anfratti nel ceppo, sempre percolanti acqua, con muschi e capelveneri, che formano le Grotte di Realdino. Queste furono utilizzate come fresco ritrovo estivo,e frequentate per pranzi, merende e brindisi, tanto che da secoli si diceva: A Realdino si visita l’acqua e si beve il vino.

La località era ricca di molini e di un grande lavatoio ormai scomparsi

-Proseguire lungo il Lambro

15) Ponte in cemento armato.

Il ponte è una delle prime ardite opere costruite nel 1907/8 l’innovativa tecnica del cemento armato.  Il primo progetto era per una costruzione in ferro che fu scartata perché, seppur meno costosa, sarebbe poi costata molto di più per manutenzioni e verniciature. Lo scavalcamento del Lambro ha permesso di congiungere rapidamente la zona operosa della bassa Brianza al suo territorio centrale e collinare, quando sempre più si muovevano, assieme ai carri, automobili e autocarri.

Dopo oltre un secolo dalla sua realizzazione la costruzione, poggiante su archi che si scaricano da ambo i lati sulle pareti rocciose della valle del Lambro, è ancora solida e sicura.

16) la Peschiera

Nel cortile della Cascina, trasformato in fontana e abbeveratoio, c’è un Avello romano in serizzo con duplice iscrizione latina inserita all’interno di due targhe gemelle accoppiate. La lettura molto ardua individuerebbe le lettere S.P.Q. / TERNIVS. Il sarcofago fu rinvenuto in una cappella funeraria situata lungo la stradina che conduceva alla cascina.

17) Realdinia (Ca’Rusa) 

I caseggiati sorti lungo il fiume erano per i dipendenti degli opifici sul Lambro, raggiungibili attraverso un ponte di ferro che univa le sponde.

Di fronte, oltre il Lambro, è sita la vecchia zona industriale ex Krumm.  La costruzione principale, visibile ancora oggi, fu progettata da Cesare Descamps nel 1828 per ospitare un’industria per la lavorazione della seta. Diventò poi Molino Castelli che nel 1845 fu acquistato da Eraldo Krumm, un industriale cotoniero che già aveva industrie nel legnanese. Tutto il complesso ospitò per oltre un secolo e mezzo fabbriche tessili.

– Ritorno a Realdino e attraversamento del Lambro

18) Ponte Realdino e risalita da via “Pedone per Realdino”-

Passando per Realdino si riconosce l’antica presenza del canale molinaro che metteva in moto le ruote dei molini. Si attraversa il Lambro sul ponte a due arcate che sostituì quello crollato per una piena del fiume. Questo fu realizzato nel 1839 con largo impiego di ceppo e cotto.

Risalire verso Carate percorrendo il ripido “Pedone per Realdino”. Lungo la via Alessandro Volta, sulla sinistra, si apre la corte di Cascina San Rocco, Qui sorgeva l’Oratorio dei Disciplini di san Rocco, visitato da san Carlo. Il ricordo è affidato a un recente affresco raffigurante S.Rocco, opera di Angelo Fumagalli.

-Ritorno per via Foppe, dove era situato il vecchio campo sportivo, e arrivo al punto di partenza, al piazzale del Cimitero di Carate.

Giovanni Cesana
24 luglio 1923 – 15 luglio 1944

Nato a Carate Brianza nel 1923 e vissuto in una corte, oggi scomparsa, di via Sant’Ambrogio, divenne perito industriale e si arruolò nell’esercito, entrando a far parte del Genio militare come marconista.
Dopo l’8 settembre del 1943 fu deportato nel campo per prigionieri di guerra di Fallingbostel, dove morì il 15 luglio del 1944.
Le sue spoglie vennero sepolte nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo per poi essere riportate a Carate nell’ottobre 2012 a cura della locale sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci.